Il Giapponese va bene, ma l’italiano ?
Mi è sempre stato difficile porgere delle critiche, ma
sembra che, per taluni sedicenti studiosi, la conoscenza della lingua
giapponese
sia migliore di quella riservata al nostro lirico idioma materno.
Spesso si usa parlare di spada e di sciabola come se fossero sinonimi;
invero, il termine spada è addirittura di origine
indoeuropeo come spata
(lingue celtiche antiche) e patha
(hindi); con spada si
intendono armi manesche lunghe con lama diritta a due fili, affilate
cioè da entrambi i lati, solitamente soltanto verso il
debole (la parte più prossima alla punta) e che, pur potendo
anche tagliare, vengono (per la loro foggia) principalmente usate con
l’intento di trafiggere.
Diversamente, provenendo dal termine persiano shamshir (da cui
anche
scimitarra), le sciabole sono costituite da lame curve, affilate da un
solo lato che, pur potendo anche colpire di punta, vengono (per la
loro foggia) principalmente usate con l’intento di tagliare.
Presumo che questo malinteso sorga (come spesso accade) dall'uso delle
traduzioni attraverso la lingua inglese, dove tutte le armi manesche
lunghe prendono il nome di sword,
e, nel caso dobbiamo specificarne la
tipologia aggiungiamo, per esempio nel caso della spada, double edge
sword (spada a due fili), anche se, invero, un termine (in
lingua inglese) per indicare la sciabola esiste: saber (o sabre).
Orbene, appare evidente che queste due descrizioni (spada e sciabola)
corrispondono perfettamente agli oggetti descritti nella lingua
giapponese con i termini tsurugi
(o ken),
da una parte,
nonché tachi
e katana
(o tô)
dall’altra;
per tutto questo non sarebbe quindi corretto definire la katana una
spada giapponese, bensì una sciabola giapponese.
È ben noto che, pur differendo per una sola vocale, i
termini pulire e polire non sono sinonimi: se puliamo una lama (con
acqua e sapone ?) probabilmente la rovineremmo visto che si
arrugginirebbe in breve tempo, mentre per polire le nostre mani sporche
dovremmo versare non poco sangue (dall’interno verso
l’esterno, non viceversa giacché le dovremmo
abradere, anche se lo “sporco” non dovesse essere
del tipo “morale”) quindi dovremo tradurre
correttamente togi
con la parola politura, con la
“o”.
Ancora sul processo chiamato Yaki
Ire: si tempera una matita e se
chiedete a Johan Sebastian Bach anche il clavicembalo può
essere ben temperato; un carattere irascibile può essere
stemperato dalla presenza di una rappresentante del gentil sesso o
anche temprato dalle più forti esperienze, ma una lama
può essere soltanto temprata e successivamente polita.
Vocale più, vocale meno,
quelli citati possono esseee
considerati peccati veniali, ma quando leggo che il termine tsuka viene
tradotto con la parola “elsa”, proprio non riesco a
trattenermi; quando una volta lo feci notare (udite, udite, da un
laureato in lettere) mi fu risposto che la cosa era dubbia; mi fu
detto: “mah, … si dice brandire
l’elsa” come se questa frase significasse (orrore
dell’errore) impugnare l’impugnatura …
Il termine italiano brandire deriva dal più lirico brando
(sinonimo poetico di spada) che a sua volta deriva dal germanico brand
che significa “tizzone”, poi (per estensione, nel
senso figurativo della lucentezza) significa anche spada, quindi
brandire significherebbe (oddio, che cacofonia)
“spadare”, ma, essendo la spada un’arma,
potremo meglio interpretare questo vocabolo con la parola
“armeggiare”, difatti sul dizionario Treccani
è riportata la voce con la seguente descrizione:
“Impugnare con forza ed energia un’arma o altro
oggetto alzandolo o agitandolo in atto di offesa”.
Quindi l’elsa è qualcosa che si può
armeggiare, ma di quale parte della spada si tratti non lo sappiamo
ancora. Sappiamo invece che ci sono altri modi di dire inerenti, quali
“affondare il colpo sino all’elsa”,
“infilare la spada nel fodero sino
all’elsa”, “immergere la spada fino
all’elsa” ed anche “stare con la mano
sull’elsa”; queste frasi ci aiutano a capire che si
tratta di una parte della spada non lontana dalla mano ma ancora non ci
permette di distinguere di quale parte di una spada si tratti.
Proviamo ad effettuare una ricerca attraverso il World Wide Web,
chiamato più comunemente Internet; qui si può
trovare di tutto ed infatti vediamo che:
… Il forte della lama è la parte vicino
all’elsa … (ancora poco specificato)
… La spada si compone della lama, della guardia,
dell’elsa e dal pomo … (più chiaro)
… Ovviamente tanto la lama quanto l'elsa erano in bronzo
…
Queste citazioni sembrerebbero concordare con l’opinione
della nota enciclopedia libera Wikipedia (it.wikipedia.org) dove alla
voce “elsa” viene fatto corrispondere tout-court il
termine “impugnatura”; si noti però che
chiunque, acculturati e non, possono partecipare alla stesura della
Wikipedia, non c’è nessun vaglio da persone di
competenza “certificata”.
Difatti, così come si trova di tutto, si trova anche il
contrario di tutto:
… particolare dell’impugnatura e
dell’elsa … (quindi sarebbero due cose diverse)
… i rami dell’elsa … (quindi non
sarebbe monolitica ma composta di più parti)
… elsa di spada giapponese … (con raffigurazione
di una tsuba)
A questo punto sembra che l’elsa non possa essere
l’impugnatura, ma proviamo una ricerca meno generica e
più autorevole; sul sito della casa editrice Paravia
(www.demauroparavia.it) troviamo il dizionario online messo liberamente
a disposizione del pubblico che riporta:
... Elsa: nelle spade: traversa metallica di varia foggia che separa la
lama dall’impugnatura e che serve a proteggere la mano; per
estensione, impugnatura della spada. Varianti: elso.
Risulta evidente che De Mauro, l’autore del succitato
dizionario, si tiene a metà strada fra le due posizioni;
proviamo allora a ricercare il termine su di un testo più
specifico come l’“Enciclopedia Ragionata delle
Armi” a cura di Claude Blair, Mondadori Editore.
Qui troviamo unicamente la variante maschile, difatti troviamo
accreditata la parola “elso”, ma, essendovi anche
un
nomenclatore visuale, non vi è più nessun dubbio;
nella spada medioevale, l’elsa corrisponde al traverso che
funge anche da para-mano, fra il corpo della lama e
l’impugnatura (ecco, per esempio, la corretta traduzione di
tsuka),
quella parte che impediva alla spada di cadere a terra quando i
foderi erano soltanto una fascia di cuoio alta appena una mano.
Successivamente, nelle lame rinascimentali l’elsa era
più sottile, sempre posta di traverso fra
l’impugnatura e la coccia (o para-mano o guardia, tutte
ottime traduzioni del termine tsuba)
che veniva afferrata dal solo dito
indice, così come anche nelle moderne lame sportive ed
olimpiche, se, ovviamente, dotate di impugnatura classica (italiana e/o
francese) e non di quella anatomica.
Quale controprova andiamo sul dizionario Treccani (del quale mi fido
molto di più di quelli generici precedenti) e leggiamo che
il termine elsa viene dal alto-tedesco helza:
“Traversa
metallica posta alla base dell’impugnatura delle spade, che
serve a proteggere in parte la mano e a fermare la lama contro il
fodero“. Altro che cosa dubbia, bastava soltanto consultare i
testi appropriati, e nemmeno quelli specialistici, un semplice buon
dizionario.
Giacché lo abbiamo incontrato, un ultimo pensiero va
all’ultima parte della spada: il pomo, quella sorta di palla
metallica posta al fondo dell’impugnatura con lo scopo di
controbilanciare il peso della lama; nella stessa posizione, sulle
spade giapponesi vi è lo tsukagashira,
però nelle
armi manesche giapponesi la funzione di bilanciamento è
principalmente svolta dalla tsuba
che (oltre a proteggere le mani)
avvicina il baricentro della spada alle mani stesse.
A questo punto, nonostante la posizione comune, non appare corretto
tradurre tsukagashira
con “pomo
dell’elsa” ma con il più corretto
termine di “fondello dell’impugnatura”,
quindi, concludendo “ad absurdo”, potremmo magari
trovare qualche facile traduttore poco ferrato nel nostro aulico idioma
che potrebbero arrivare a considerare l’impugnare in
prossimità del kashira
una “presa per i
fondelli”.