La pratica storica

Abbiamo già visto che nel Giappone storico veniva praticato, presso il tempio (Sanjûsan Gendô), un tiro dalla traiettoria molto tesa, alla distanza di circa 120 metri senza un vero bersaglio fisico; questo tipo di tiro viene chiamato dôsha (tiro al tempio) e prevede anche un leggero guantino impeciato nella mano sinistra (che tiene l'arco) per impedire lo yugaeri (vedi il paragrafo su hanare) che per questa pratica costituiva un'inutile perdita di tempo ed un guanto a quattro dita per la mano destra del quale abbiamo già parlato; la tecnica per questo tiro era insegnata dalle scuole Bishû Chikurin e Kishû Chikurin nonché dalla Sekka.

Un'altra forma di tiro senza bersaglio veniva chiamata kuriyamae (metodo per la lunga distanza) e consisteva nel lanciare una freccia più lontano possibile; raggiunta la distanza di 4 chô (circa 435 metri) venivano "spuntate" (ribassate) le penne della freccia facendole così perdere in stabilità nel volo e si riprovava il tiro; si racconta che un solo arciere sia riuscito a raggiungere quella distanza con il solo rachide delle penne.

Il tiro chiamato kisha (tiro da cavallo, fatto dai samurai anche nelle epoche storiche) era prerogativa delle scuole Ogasawara e Takeda (oggigiorno soltanto della prima); l'arco che essi usano non è affatto potente sia per le brevi distanze in gioco (qualche metro) sia perché il guanto a cinque dita che viene usato non ha il pollice rigido (introdotto nel XV secolo) in quanto con la stessa mano devono tenere le redini del cavallo (e, all'occorrenza, impugnare la spada, almeno nei tempi che furono); questa scuola, sviluppata dai nobili vicini alla corte imperiale sempre vestiti con sontuosi abiti, è stata anche quella che codificò il tiro reisha, quello formale e cerimoniale.

Al kisha appartengono tre "specialità" chiamate yabusame, inu-oi-mono e kasagane.

Lo yabusame, la cui ideazione è attribuita Fujiwara no Hidesato (940 circa), è la più nota delle tre e consiste nel lanciare un cavallo al galoppo lungo un percorso obbligato che misura all'incirca 220 metri ed infrangere tre bersagli quadrati di legno che distano dal percorso circa 2 metri; se l'arciere lascia cadere involontariamente la freccia può colpire il bersaglio con la penna superiore dell'arco.

L'inu-oi-mono (caccia al cane) chiamato anche takainu, consisteva nel liberare un certo numero di cani in un recinto di circa 20 metri di diametro; il cacciatore, dirigendo il cavallo all'interno di questo recinto con le sole ginocchia, con delle frecce imbottite chiamate hikime, doveva far cadere i cani a loro volta imbottiti con delle gualdrappe, anche se non sempre hikime e gualdrappe sono state usate.

Il kasagane (tiro al cappello) è molto simile al yabusame ma i bersagli sono sostituiti da cappelli da campo (jingasa) che, se di metallo laccato, risuonano quando vengono colpiti.

L'antico tiro da guerra (busha) a piedi e con l'armatura, il kazuyamae (molte frecce con tiro rapido) e il tekimae (tiro al nemico) non avrebbero oggi senso ad essere praticati, ma per chi lo desiderasse esistono ancora delle scuole che li insegnano, ma sono solitamente richiesti lustri di pratica documentata per potervi accedere.

Meno raramente dei precedenti, oggi si pratica il tôyamae (metodo al bersaglio lontano) con un mato di 158 oppure 100 centimetri posto generalmente a 60 metri (talvolta 100) con la tecnica simile ma con frecce più leggere del komatomae (metodo al bersaglio piccolo).

Quest'ultimo è considerato oggi il tiro standard, si pratica con un bersaglio di 36 centimetri posto a 28 metri; quest'ultima distanza deriva dalla reciproca posizione che assumevano gli arcieri sul campo di battaglia nel periodo Sengoku.